3 Giugno 2023

PIOLI (ED INZAGHI) ARE ON FIRE. MIRACOLI A MILANO

Parliamo anche oggi del Campionato appena concluso. Pubblichiamo il pezzo di un nostro abituale lettore che ha voluto dedicare queste righe ai 2 Mister di Milano…. Stefano Pioli e Simone Inzaghi, partendo dal Tormentone degli Ultras Rossoneri ….Pioli Is On Fire…..

D’accordo, probabilmente parlare di “miracolo” sportivo per descrivere la stagione di Milan e Inter è eccessivo considerando che, esattamente come l’anno scorso, sono state le due squadre milanesi a contendersi la vittoria finale del campionato e come nella passata stagione occupano le prime due posizioni in classifica (anche se a parti invertite). Eppure, per motivi diversi ma in fondo anche un po’ simili, quello che hanno fatto i due tecnici sulle panchine delle milanesi è stato veramente straordinario e merita di essere riconosciuto e celebrato. E proprio questo vuole fare questo pezzo.

PIOLI IS ON FIRE

In onore al merito cominciamo da Stefano Pioli e il suo fantastico Milan Campione d’Italia. Fatti i dovuti complimenti di rito è giusto rendere edotto chi legge che chi scrive tifa Inter, e se dicesse che non sta “rosicando” neanche un po’ mentirebbe, ma è inevitabile dover riconoscere i meriti ad una squadra giovane e con poca esperienza e palmarès che, grazie alla guida del suo tecnico e alla lungimiranza della dirigenza in molte decisioni fondamentali per il progetto, è riuscita a dimostrare più voglia, più fame, più consapevolezza e soprattutto più maturità e resilienza degli avversari. Un titolo meritato perché ci hanno sempre creduto, anche nelle difficoltà, prendendo anche scelte coraggiose ma dimostratesi vincenti, vedi la scelta di fidarsi di Kalulu invece di prendere nomi a caso sul mercato quando l’intera difesa titolare Kjaer-Tomori-Romagnoli era in infermeria, ma anche nel non sottostare ai ricatti dei giocatori (Donnarumma/Chalanoglou) pur rischiando di indebolirsi (prendendo invece Mike Maignan, MVP nel suo ruolo, e alternando sulla Trequarti Diaz, Krunic, Kessie).

Un titolo meritato anche, come detto, nella forza e nel coraggio di credere nel proprio progetto, tornando sui propri passi per confermare Pioli quando ha dimostrato di meritare quella panchina e di poter essere qualcosa di più di un “traghettatore” in attesa di Rangnick, e di credere soprattutto nei propri giovani. Il Milan vince questo scudetto con un’età media di 25,8 anni, una delle più basse del campionato, proprio perché è stato dato tempo, spazio e fiducia ad i giovani talenti presenti in rosa senza bocciarli alle prime difficoltà e magari sostituirli sul mercato con “vecchietti” dal nome più blasonato ma con molto più margine di decrescita che non di crescita. Caso emblematico è Rafael Leao, a lungo accusato (a ragione) di discontinuità eccessiva e incapacità di rivelarsi decisivo negli anni passati e oggi eletto MVP del campionato. Questo Milan ha vinto perché ha avuto pazienza e lungimiranza, perché ha avuto coraggio e ambizione, perché ha avuto voglia smisurata senza mai farsi schiacciare dalla pressione e mantenendo la calma. Per concludere, quello che è riuscito a creare Stefano Pioli con questo Milan potrà passare più per un salto di qualità dal secondo al primo posto che altro, ma, come ha detto Zlatan, basta guardare dov’era il Milan quando è arrivato lui, non più tardi di un paio di anni fa, pochi giorni dopo un Atalanta-Milan 5-0, per rendersi conto che questo Scudetto numero 19 ha eccome il sapore di un “miracolo” sportivo. Il Tormentone degli Ultras Rossoneri è più che giustificato…PIOLI IS ON FIRE!

 

LO SPIAZEL ONE

Seguendo, ahimè, l’ordine di classifica e passando ad analizzare la stagione dell’Inter mi viene da dire che se Pioli ha fatto un miracolo non bisogna lasciare che questo tolga attenzione o merito a quanto fatto da Simone Inzaghi sull’altra sponda del Naviglio. Certo, lo scudetto alla fine verrà scucito dal petto dei nerazzurri per passare sulle maglie dei rossoneri dalla prossima stagione, ma l’annata dell’Inter resta comunque più che positiva e i meriti di Inzaghi sono tanti, soprattutto a livello di personalità e mentalità che ha dimostrato. Partendo con ordine va detto che ha vinto due trofei al suo primo anno alla guida dell’Inter, cosa riuscita prima solo a un certo Josè Mourinho. Bisogna poi notare che entrambi questi trofei sono giunti in finale contro la Juventus, innegabile valore in più, che i punti in classifica sono stati comunque 84, gli stessi del primo anno di Mou e due in più del primo Conte, e che l’allenatore si era visto sottrarre giocatori fondamentali come Lukaku, Hakimi e, in misura minore e per ragioni diverse, Eriksen. Tutto sommato momenti o scelte veramente criticabili ne ricordo pochi.

In Supercoppa e Coppa Italia ha vinto e quindi c’è poco da criticare, in Champions ha fatto oggettivamente il massimo, riuscendo ad accedere agli ottavi dopo un decennio e dando vita a prove più che convincenti contro Real Madrid e Liverpool oggi finaliste. In campionato l’Inter ha comunque a lungo dimostrato di essere ancora una squadra da titolo e per lunghi tratti è ancora apparsa la più forte. Dopo ventidue giornate era prima e nelle ultime nove ha fatto un punto in più dei cugini. A conti fatti a condannarla sono stati due momenti: il periodo di calo, fisiologico ma troppo lungo e sanguinoso, avvenuto tra gennaio e febbraio con i soli sette punti in sette partite, e la partita col Bologna. Se però il secondo è ingiustificabile (non tanto nella papera di Radu ma nell’atteggiamento di squadra, incapace di ritrovare se stessa dopo il gol subito al primo tiro in porta), per quanto riguarda il primo bisogna prendere atto che i punti sono stati persi in un periodo denso di impegni estremamente gravosi (in una quarantina di giorni l’Inter affrontò Lazio, Atalanta, Napoli, Sassuolo e Milan in campionato, la Roma e i 120 minuti contro l’Empoli in Coppa, una Supercoppa contro la Juventus e un ottavo di Champions contro il Liverpool) e dare merito ad Inzaghi per non aver mai snobbato nessuna di queste partite e competizioni, neanche il ritorno contro il Liverpool dopo lo 0-2 di San Siro.

E forse anche per questo il tecnico ha citato proprio la sfortunata gara di andata contro gli inglesi alla domanda “potendo scegliere quale partita rigiocheresti?”, come a dire “in campionato non ho rimpianti perché ho dato tutto come in tutte le competizioni giocate, e rigiocherei quella partita perché la Champions è l’unica in cui alla fine non sono arrivato in fondo e, forse, non era neanche impossibile”. Certo avrebbe potuto forse limitare i danni in campionato consumando meno energie nelle altre competizioni (senza nulla togliere a Sarri, Conte o Pioli, ma forse non è un caso che negli ultimi tre anni lo scudetto sia sempre andato a squadre uscite presto dalle altre competizioni) ma in compenso si sarebbe magari fatta soffiare la Supercoppa dai bianconeri, avrebbe fatto la brutta figura di uscire agli ottavi di Coppa Italia contro l’Empoli e avrebbe preso chissà quanti gol ad Anfield. Tutto questo non per nascondere i dispiaceri di un campionato perso per due punti o far finta che non ci siano rimpianti, ma per invitare a non sottovalutare i meriti di un allenatore che, al primo anno e con una squadra privata di diversi uomini chiave, ha fatto bella figura in Champions tenendo testa ai migliori, ha vinto la Supercoppa Italiana, ha vinto la Coppa Italia e, non fosse andato tutto storto in quella maledetta serata di Bologna, avrebbe vinto anche il Campionato. E posso garantire che una stagione così, tutto sommato, non Spiaze affatto.